“Giudici di frontiera/interviste in terra di mafia”

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Leggere questo testo di Roberto Mistretta, (Giudici di frontiera, Salvatore Sciascia editore, pagg. 211, € 16.00) in un periodo così delicato per le nostre istituzioni, equivale a respirare una ventata d’aria buona. Un  libro che si avvale della prefazione autorevole di Giancarlo De Cataldo e  fa onore al suo autore. L’Italia sta attraversando una crisi drammatica, governanti sempre più screditati hanno imperversato,  sostenendosi a vicenda e utilizzando il Parlamento a loro uso e consumo, autoassolvendosi e modificando le leggi per il loro tornaconto. Tutto ciò ha creato un clima di sfiducia se non di rivolta vera e propria nei confronti dello Stato. Questo libro invece è un inno alla legalità.  Mistretta ci presenta uomini che dell’alto senso dello Stato hanno fatto il loro ideale di vita, ci fa conoscere la loro umanità, la loro professionalità, la loro condizione per nulla piacevole di uomini minacciati di morte e costretti a vivere da reclusi sotto protezione. Ci ricorda i tanti giudici assassinati per aver compiuto il loro dovere, i tanti, troppi fatti di sangue che hanno ridotto negli anni passati la Sicilia a una sorta di Far West: lotte tra faide rivali, ragazzini minorenni assoldati per fare i killer, altri giustiziati con estrema crudeltà per aver sgarrato o aver mancato di rispetto al boss di turno.

Mistretta intervista sei magistrati che lavorano o hanno lavorato presso la procura nissena: Sergio Lari, Ottavio Sferlazza, Onelio Dodero, Giovanbattista Tona, Domenico Gozzo e Antonino Patti. Tre generazioni di magistrati a confronto, nel segno della continuità alla lotta alla mafia. Ne emerge un quadro di riscatto e di dignità, la Sicilia non è abbandonata al proprio destino, nonostante le carenze di organico, nonostante possa capitare che nelle procure un giudice debba acquistare di tasca propria la carta per le fotocopie, in quanto non ci sono soldi; e soprattutto nonostante questa classe politica e questi governanti cerchino di delegittimarli per coprire le proprie nefandezze. C’è voglia di riscatto in Sicilia, nel Sud e nell’Italia intera, gli imprenditori taglieggiati prendono coraggio e denunciano i loro  estortori, i giovani scendono in piazza, la gente si raccoglie attorno agli eroi caduti. Sicuramente il barbaro assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha segnato una svolta determinante per una presa di coscienza dei siciliani. Un punto di non ritorno.

Per la dinamica eclatante, per la popolarità dei personaggi, ma tanti altri sono caduti, persone per bene ingiustamente dimenticate e riportate alla nostra memoria in questo libro. La mafia è un bubbone ancora da sconfiggere, occorre lavorare tanto. Sintomatica la risposta data da uno dei giudici intervistati: “Noi siamo come i chirurghi che agiscono in sala operatoria, cerchiamo di estirpare il cancro mafia radicato nei corpi, ma la vera lotta alla mafia si fa alla fonte, nelle scuole, educando i ragazzi alla legalità, facendo loro capire che violenza e prevaricazione non pagano”. Questa terra è stata saccheggiata, depredata, svilita dalla mafia. E’  tempo che si riscatti e  torni in possesso della propria dignità.

Incontro con Roberto Mistretta

Roberto, un libro che ci voleva questo, fa conoscere l’aspetto umano di tanti servitori dello Stato ultimamente aggrediti barbaramente dalla mala politica. Cosa ti ha spinto a scriverlo?

Sosteneva Leonardo Sciascia che il vero romanzo sta nella quotidianità. Qui però non parliamo di romanzi, ma di uomini in carne ed ossa, che sol perché hanno scelto di servire lo Stato nel senso più nobile ed etico del termine, si ritrovano a dovere pagare, sia loro che le loro famiglie, un prezzo altissimo. Vivono da reclusi per proteggere tutti noi e rinchiudere i troppi criminali in libertà. Eppure, ad onta di tanto sacrificio personale, troppo spesso negli ultimi anni, la loro abnegazione è stata dipinta come persecuzione giudiziaria da una certa mala politica, come giustamente tu sottolinei. E va da sé che una menzogna reiterata e urlata, diventa una verità nella società degli slogan populisti. Sono nato e cresciuto in un paese, Mussomeli, definito il mandamento storico di Cosa nostra nel nisseno, e non solo. Come giornalista occupandomi anche di nera e di criminalità organizzata, mi sono reso conto che dei mafiosi e delle dinamiche mafiose, sappiamo pressoché tutto con l’avvento dei pentiti.

Dei magistrati  invece si parla soltanto quando si occupano di indagini scottanti, quando vengono accusati di fare politica giudiziaria o quando sono fatti oggetto di esplicite minacce di morte o, peggio, quando vengono assassinati. Ho cercato quindi di porre rimedio a questo insopportabile divario, dando voce ai nostri magistrati, professionisti discreti  che non amano i riflettori e lavorano in silenzio, spesso in contesti disastrati da un punto di vista dell’organico e della logistica, e vivono sulla propria pelle il dramma di diventare bersagli mobili sol perché, come già detto, applicano la giustizia in una terra di frontiera come la nostra, dove, e per fortuna, ancora esistono questi coraggiosi magistrati che rappresentano gli avamposti di legalità a far da diga al dilagare del malaffare, della corruzione, della mafia. 


La legalità. In Sicilia ci sono segnali di riscossa secondo te? Pensi che questa terra possa finalmente riuscire a debellare la mafia?

Non è facile rispondere a queste domande, ma certo segnali incoraggianti, quali la ribellione degli imprenditori che hanno detto no al pizzo, la rivolta dei giovani in ogni parte dell’isola e una maggiore presa di coscienza collettiva di quanta funesta sia la mafia, fanno ben sperare. Il cammino è ancora lungo e tortuoso e abbisogna della massima sinergia tra le forze sane affinché si produca il riscatto degli onesti che affranchi l’isola dalla ragnatela di omertà e mafiosità che l’avvolge.  I siciliani onesti, e i giovani in particolare, guardano con fiducia e speranza  ai magistrati perché sono rimasti gli unici, in un’Italia le cui istituzioni sono state saccheggiate e devastate, a difendere la democrazia ed amministrare la giustizia. Che poi il nostro sistema giuridico andrebbe cambiato e migliorato per non vedere più assassini e mafiosi  a piede libero, questo è un altro discorso. Riguardo alla futura sconfitta della mafia, concordo con tutte le risposte date dai sei magistrati intervistati a tale mia domanda, che era l’unica uguale per tutti, e che indicano nei giovani il cambiamento necessario a seppellire la mafia. Definitivamente.

 

Cosa occorrerebbe fare secondo te, anche sul piano economico, per combattere l’illegalità?

Piuttosto che gridare contro il buio che avanza è meglio accendere una candela, di conseguenza, un libro, al pari di un film di una canzone di una pièce teatrale, diventa luce nella notte. Questa è la mia convinzione. Un libro, in fondo, è capace di scuotere le coscienze. E’ accaduto in passato ed accade tutt’ora: Gomorra, ad esempio, ha squarciato il velo sugli intrecci politico-camorristico-affaristico snocciolando nomi, date, cifre. Un libro coraggioso perché specchio fedele di una realtà sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vedeva o faceva finta di non vedere, come continua ad accadere con la prostituzione e la pedofilia e tante altre problematiche che riguardano tutti noi. Ma potrei citare anche La casta o I complici o Romanzo criminale e molti altri libri ancora. Promuovere la legalità non dovrebbe essere soltanto un impegno estemporaneo ma un imperativo categorico, a maggior ragione per chi, come me, ha scelto di veicolare con  la scrittura il suo essere cittadino di questa terra. Sul piano economico, ma non solo, i nostri governanti dovrebbero investire risorse cospicue ed approvare leggi ad hoc, per colmare il gap esistente tra chi, come dichiara il dott. Nico Gozzo, con un clic sposta milioni di euro nei paradisi fiscali e le nostre forze dell’ordine che impiegano anni a seguire le tracce dei capitali illeciti.

 

Definisciti. chi è Roberto Mistretta scrittore, e chi Roberto Mistretta giornalista.

La scrittura è una scelta di vita. Il linguaggio dei segni è la più grande conquista dell’uomo. Senza scrittura non ci sarebbe memoria né progresso, in un parola non avremmo passato e non avremmo futuro. Mi hanno definito uno scrittore impegnato che nel raccontare le sue storie non dimentica le problematiche che travagliano il proprio tempo e cerca di dare il suo contributo di speranza ma anche di sferzare la nostra epicurea società impegnata a consumare schede telefoniche e droghe. Vale anche per la professione giornalistica: basta leggere i miei libri, e “Giudici di frontiera/interviste in terra di mafia” in particolare, per scoprire che c’è un solo Roberto Mistretta, un uomo che attraversa la vita scrivendo.

 

Salvo Zappulla

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